La recente sent. n. 11505 del 2016, pronunciata in forma collegiale dal Tribunale di Milano, sez. IV civile, in materia di impugnazione di testamento olografo, offre un bello spunto per ritornare su un argomento importante e vicino a qualunque persona che intenda disporre delle proprie sostanza al momento della sua morte.
E’ noto che il testamento olografo è lo strumento più comunemente usato, per fare in modo che il patrimonio accumulato durante la vita sia destinato dal testatore in favore di quelle persone viventi o nasciture, che intenda beneficiare o per motivi di parentela o di affinità o di riconoscenza oppure per mero spirito di liberalità, come accade quando si decida di lasciare parte delle proprie sostanze ad un Ente benefico, ad una Associazione, ad una Organizzazione internazionale e simili.
Il caso in esame muove dalla impugnazione che lo zio intraprende conto il partner di una persona deceduta dopo una breve malattia, ritenendo che il testamento non fosse stato redatto di pugno dal compianto parente.
Così il testo della sentenza che introduce la causa:
<< Con atto di citazione ritualmente notificato ai sensi dell’art. 140 cpc il 19 dicembre 2013, Caio ha convenuto in giudizio al Tribunale di Milano, Tizio, proponendo querela di falso avverso il testamento olografo datato 7 febbraio 2013, apparentemente sottoscritto da yyyy e pubblicato con atto del notaio XXX il giorno …… (rep. N…. e raccolta n…) con atto di citazione l’attore ha altresì proposto di condanna del convenuto “al risarcimento dei danni subiti e subendi dall’attore danni da liquidarsi in separato giudizio e ha chiesto, in via preliminare, disporre l’inventario dei beni mobili ed immobili di yyyyy provvedendo conseguentemente alla nomina di un custode e curatore della eredità giacente >>
La causa si presentava molto complicata e difficile, soprattutto perché parte attrice intendeva dimostrare non solo l’apocrifia dello scritto ma anche l’indegnità del presunto erede a succedere. La difesa di yyyy voleva infatti che la causa, per motivi morali, non esulasse delle vicende personali e intime della coppia e così ricollegare una vicenda meramente processuale anche alla vita reale di yyyy, che, durante la malattia, non fu sostenuta o accudita dal partner.
Di fronte alla strenua opposizione di parte convenuta, la difesa dello zio, certa del giudizio già esposto dal suo Consulente di parte, anche al fine di contenere i tempi e i costi del processo, ha deciso di insistere non più sulle prove testimoniali, ma ha agevolato la decisione istruttoria del Giudice, affinché la causa fosse risolta per il tramite della sola consulenza tecnica d’ufficio, tesa a stabilire se il testamento fosse stato redatto di pugno o meno da yyyy, fornendo quali ulteriori prove documentali, biglietti augurali, cartoline, pensieri, ossia tracce di vita vissuta che lascia ai suoi cari.
Questi ricordi familiari possono aiutare i consulenti a meglio ricostruire la personalità e la grafia del testatore.
Infatti, il codice civile dà precise indicazioni in materia di testamento olografo, cioè che questo atto deve essere scritto per intero e di proprio pugno dal testatore, senza il sussidio di mezzi meccanici o l’intervento della mano di altra persona. Proprio perché esso costituisce la forma più semplice di testamento, la legge prescrive requisiti particolari di precisione nella sua redazione, tra i quali vi è la sottoscrizione del testo.
Accogliendo quindi la posizione difensiva dell’avv. Vernetti, il Giudice ha disposto la Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), l’acquisizione dei cd. documenti comparativi – ossia di altri atti, contratti, scritti di qualsiasi natura provenienti certamente dal testatore -, la partecipazione alle operazioni peritali del Consulenti Tecnici di Parte (CTP), ossia di due esperti grafologi nominati dagli Avvocati per “collaborare e controllare” il tecnico nominato dal Giudice istruttore.
All’esito quindi della consulenza espletata, il Giudice tratteneva la causa in decisione ed il Collegio si pronunciava sulla doglianza, in tempi brevi, accogliendo le tesi difensive dello zio, confermando la apocrifia del testamento e condannando il partner anche al pagamento delle spese processuali.
In particolare nella sua motivazione il Collegio milanese confermava che la lunghezza del testo << non rappresenta un elemento di autenticità e che il consulente d’ufficio ha preso in esame anche elementi extra-grafici per identificare, unitamente alle caratteristiche più prettamente grafiche il profilo scrittorio individuale >>. In altre parole, il Tribunale non ha dato peso a quelle critiche scollegate dall’esame del materiale probatorio prodotto in giudizio dalle parti in causa né ha voluto assecondare ipotesi probatori difensive non supportate da elementi in fatto.
La CTU ha concluso infatti che << il testamento olografo pubblicato dal Notaio XXXX di Milano, con atto del … rep…. Racc… non è stato scritto in ogni sua parte e sottoscritto da yyyy >>.
Il Collegio, in sentenza ha aggiunto che << Le conclusioni raggiunte sono del resto conformi agli accertamenti peritali espletati dalla dott.ssa Roberta Tacconi su incarico dell’odierno attore >> e dell’avv. Vernetti.
Il testamento è stato quindi dichiarato falso e il partner condannato al pagamento delle spese processuali, di quelle di CTU e di CTP.
La vicenda processuale, tuttavia, come spesso accade, dà spunti di riflessione per la vita concreta.
Di fronte ad una “carta”, il testamento, che ci rimanda l’immagine di una persona a noi cara per così dire “diversa” da quella che conosciamo, amiamo e di cui piangiamo la scomparsa, è utile, saggio oltre che moralmente giusto nei confronti del testatore procedere sempre ad una esame specifico della scheda testamentaria, perché il dubbio che la volontà trascritta sul quel pezzo di carta non sia quella reale del nostro congiunto, del quale conosciamo le idee, i sentimenti, i valori ci obbliga a chiedere ed avere giustizia, per lui e per noi.